(ESTRATTO DALLA PUBBLICAZIONE "SAPER FARE EDIZIONE 2" , a cura della dott.ssa Marina Gargiulo - Confartigianato imprese Latina)
Le competenze: tra sapere e saper fare
La didattica delle competenze è spesso descritta come una moda importata dal mondo anglosassone. In realtà, il nesso fra il conoscere e l’agire è un tratto importante della tradizione del pensiero occidentale. È difficile negare che la forte enfasi posta sulle competenze, quale vero e proprio principio di individuazione della nuova scuola, soprattutto a livello di insegnamento secondario, può suscitare inizialmente una accentuata diffidenza. Non si tratta soltanto del riflesso condizionato, indotto dall’introduzione di una novità, anche se non sempre si riflette sulla larga diffusione di un atteggiamento fondamentalmente conservatore nel mondo della scuola. Indipendentemente dalle diverse “sensibilità” politico-culturali, e spesso anche in contrasto con un approccio generale di ispirazione progressista, accade infatti molto spesso che l’operatore scolastico non sia disposto in maniera pregiudizialmente favorevole nei confronti delle novità. Tanto più se, come in questo caso, il “nuovo” può sembrare limitato al piano meramente linguistico, senza che nella sostanza si possa avvertire un cambiamento effettivo. D’altra parte (come già è accaduto per altre questioni non meno importanti) l’esigenza di un allineamento con le direttive europee in tema di formazione impone di superare ogni incertezza, disponendosi ad accogliere e a praticare quella che, in ogni caso, potrebbe essere una positiva riformulazione delle modalità dell’insegnamento
L’orientamento all’azione
Un primo passo concreto nella direzione ora indicata può essere compiuto sciogliendo l’opacità del termine impiegato. Come si legge nella ormai copiosa documentazione disponibile, risultato di appuntamenti di studio e di ricerche spesso di notevole accuratezza, col termine “competenza” si intende indicare una sintesi fra le conoscenze in senso stretto e le abilità. Per dirla in altri termini, fra il “sapere” e il “saper fare”. A questo primo e fondamentale connotato, volto principalmente a ridimensionare, se non proprio a cancellare totalmente, la dimensione meramente “contemplativa” delle conoscenze, attraverso il nesso imprescindibile fra il conoscere e l’agire, si aggiunge una seconda e non meno rilevante caratteristica. Poiché, come già si è accennato, le competenze devono essere tali da consentire di agire, e poiché l’azione non si sviluppa concretamente mai, se non in rapporto a un contesto sociale determinato, ciò che si tratta di introdurre mediante la didattica delle competenze è una più specifica attenzione alle relazioni interpersonali e sociali nelle quali si inserisce l’azione. Connettendo insieme i tre elementi finora emersi, vale a dire le conoscenze, le abilità e il contesto sociale, e valorizzando soprattutto il rapporto organico fra essi intercorrente, risulta allora più chiaro quale sia l’orizzonte di senso generale, nel quale si inscrive questa nuova frontiera della didattica. Non si tratterà, dunque, né di prescindere dalla coltivazione del sapere, né di concepirlo come qualcosa che vada sempre e comunque immediatamente finalizzato all’azione, ma piuttosto di valorizzare aspetti e dimensioni del sapere che , a ben vedere, sono in realtà indissolubili dal “sapere” nella sua accezione più appropriata.
Lavoro: il futuro è nell’artigianato e nei prodotti fatti a mano
La grande tradizione artigianale italiana non è affatto destinata a scomparire: anzi, nei prossimi anni aumenteranno le richieste di professionalità basate su competenze umane che le macchine non possono rimpiazzare: manualità, ingegno e creatività. Recenti studi sulle tendenze dell'occupazione nei paesi ad alto reddito concordano nell'affermare che l'artigianato e tutti i lavori basati sul "saper fare con le mani" saranno tra le professioni più ricercate nei prossimi 10 anni. Se da un lato la nostra vita sarà sempre più permeata da tecnologia, informatica e robotica, dall’altro nei prossimi anni il mondo del lavoro sarà caratterizzato dalla crescente richiesta di professionalità basate su competenze umane. Tra i paesi industrializzati l’Italia gode di un posto “privilegiato” in questo senso perché vanta la più celebrata tradizione della “bottega artigiana” e l’eccellenza della sua produzione manuale è riconosciuta a livello globale: liuteria, sartoria, vetreria, oreficeria, prodotti agroalimentari, meccatronica, biciclette, componentistica. In un Paese come l’Italia, famoso per i suoi prodotti di alta qualità e per il suo ineguagliabile Made in Italy, dove la disoccupazione giovanile è altissima e scarseggiano carpentieri, fornai, sarti, l’artigianato diventa una grande opportunità. Il ‘saper fare’ rimane un ingrediente indispensabile per l’intero settore manifatturiero italiano e contaminandolo con i nuovi saperi tecnologici, l’Italia si ritrova tra le mani un formidabile strumento di crescita e innovazione. Le potenzialità del settore sono confermate dalla Commissione Europea che, in uno studio del 2016 intitolato “Business Innovation Observatory – Collaborative Economy: collaborative production and the maker economy”, mette in evidenza che il trend occupazionale dell’artigianato e delle professioni basate sul “saper fare con le mani” è in crescita e che l’artigianato tradizionale non è affatto in via di estinzione. Anzi, se i lavori artigianali coniugano creatività, abilità manuale e padronanza delle tecniche da un lato e innovazione, tecnologie digitali e potenzialità della rete dall’altro, sono destinati a crescere. Lo studio europeo attribuisce all’artigianato “la capacità di creare nuove fonti di reddito sia per i tradizionali laboratori a gestione individuale e vendita diretta ai clienti, sia per le piccole imprese artigiane a conduzione familiare che operano a livello locale”. I mercati online favoriscono la vendita dei manufatti artigianali e delle produzioni su piccola scala, destinate a soddisfare le esigenze di un numero sempre maggiore di persone che preferiscono la produzione fatta su misura, locale, biologica (ed ecologica) alla produzione industriale di massa.
Gli artigiani digitali
Questo modello produttivo è valido ancora di più oggi: gli “artigiani digitali”, ad esempio, sono quasi sempre freelance che lavorano da casa, o meglio, nei loro appartamenti ipertecnologizzati che sono un esempio di bottega artigiana del XXI secolo”. Nel terzo millennio, infatti, la bottega artigiana non è solo il luogo in cui si producono oggetti di altissima qualità e sono custoditi saperi tramandati di generazione in generazione, ma anche il luogo nel quale oggi c’è maggiore innovazione e spazio per la creatività. Il Censis, nel suo “Rapporto 2017″, parla di “crescente intensità del comparto artigiano, con la moltiplicazione di iniziative innovative come l’artigianato digitale”. L’artigiano, in realtà, ha sempre innovato: attraverso la creazione e il miglioramento degli utensili, la scelta e sperimentazione di nuovi materiali e l’ingegno legato alla riparazione – che spesso è più “sofisticata” rispetto alla creazione dell’oggetto. Oggi, però, gli artigiani sono sempre più digitali (o “digital makers”) e connessi con il mondo e tutti gli studi sul futuro del settore concordano sul fatto che il digitale è una grande opportunità, non solo per l’automazione dei macchinari e la semplificazione delle attività gestionali e amministrative, ma soprattutto per l’e-commerce e “internet delle cose”. L’e-commerce ha reso possibile usare la rete per proporsi al meglio, vendere in tutto il mondo “stando a casa propria”, vendere prodotti non standardizzati e omologati ma altamente personalizzabili (e sempre più ricercati) e mantenere la relazione post- vendita con il cliente a costi molto ridotti. L’internet delle cose, invece, è la nuova frontiera che dà la possibilità di mettere sensori all’interno degli oggetti fatti a mano e su misura. La prospettiva per l’artigianato – che è il più importante settore produttivo di oggetti personalizzati a livello globale – è molto promettente perché consente di creare oggetti “intelligenti” che interagiscono con gli utenti, che “parlano” fra di loro e, soprattutto, con chi li ha prodotti. Grazie all’internet delle cose, l’artigiano può effettuare l’analisi degli utilizzi dei manufatti, perfezionare i manufatti ed effettuare “manutenzione preventiva” agli stessi – il tutto senza muoversi dal laboratorio. La cultura artigiana – che combina, in una miscela straordinaria e inimitabile passato e futuro, tradizione e innovazione – è l’unica che mantiene l’occupazione. Per la grande industria l’innovazione coincide sempre di più con l’automazione e, cioè, la sostituzione del lavoratore con macchine o programmi automatici. Per il mondo artigiano, invece, l’innovazione si esplicita nel potenziamento del lavoratore, che grazie alle tecnologie lavora meglio, ma non viene sostituito dalla macchina”. Rimanere nel territorio di origine, quindi, e decidere di aprire o rilevare un laboratorio artigianale non significa fissazione nostalgica e romantica del passato, ma creazione di lavoro, reddito e benessere per se stessi e per la comunità.
(ESTRATTO DALLA PUBBLICAZIONE "SAPER FARE EDIZIONE 2" , a cura della dott.ssa Marina Gargiulo - Confartigianato imprese Latina)
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