La situazione dell’Italia,
come è noto, è particolarmente critica, lo Stato non sembra più in grado di
fronteggiare adeguatamente i bisogni espressi dai territori. L’elevato livello
di debito pubblico, le lacune nei servizi pubblici, l’invecchiamento
demografico…Ormai anche le persone che vivono in condizioni di “normalità” si
trovano catapultate in situazioni di disagio economico e sociale, il ceto medio
si avvicina sempre più alla soglia della
povertà. Le donne in particolare pagano un prezzo troppo alto. Vi sono,
inoltre, bisogni che derivano dalla
trasformazione del mercato del lavoro, del sistema produttivo e della struttura
familiare, che fanno emergere l’esigenza
di nuove tutele e forme di conciliazione famiglia-lavoro. Sicuramente non mancano alcuni strumenti,
basti pensare ai permessi retribuiti o al congedo parentale o, ancora, al
rimborso dei costi legati alla gestione dei figli. Ma gli interventi a volte
sembrano diretti solo a medie o grandi realtà produttive.
E le microimprese? Le ditte individuali? Le piccole attività familiari? Le piccole dimensioni rappresentano comunque
la centralità del tessuto produttivo ma l’impressione è quella che le stesse
usufruiscano di aiuti solo “una tantum”. Le dinamiche familiari non vanno
sottovalutate, nella maggior parte dei casi ricadono soltanto sulle donne. Si
fa fatica a cambiare l’approccio mentale, che identifica la famiglia come “presidio
da accudire”. Mentre, a mio avviso, il
sostegno alle famiglie si attiva lavorando sulle relazioni, sul lavoro di
comunità e sulla cittadinanza attiva, favorendo un approccio in cui le famiglie
attivamente offrano soluzioni ai problemi legati al quotidiano.
L’imprenditoria femminile
locale (che seguo da un po’ di tempo)
mi ha portato ad una riflessione: la stessa necessita di integrare la
dimensione sociale. Certamente non si immagina un’economia senza consumi, ma si dovrebbe assumere la logica della
produzione di valore come un meccanismo di crescita, dove i consumi diventano più la derivata che il motore propulsore della
crescita.
Perché non realizzare sul
territorio delle “zone franche” per
le famiglie, luoghi per confrontarsi e identificare problemi. Perché non
favorire sostegno maggiore alle donne anche scambiando semplici e concrete informazioni? Perché non presentare insieme
progetti e soprattutto proporre di farli
valutare alla cittadinanza,
piuttosto che da un impersonale nucleo di valutazione del settore pubblico?
Riflessioni
di Marina Gargiulo
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