sabato 31 ottobre 2015

Le lavoratrici pagano un prezzo troppo alto?






La situazione dell’Italia, come è noto, è particolarmente critica, lo Stato non sembra più in grado di fronteggiare adeguatamente i bisogni espressi dai territori. L’elevato livello di debito pubblico, le lacune nei servizi pubblici, l’invecchiamento demografico…Ormai anche le persone che vivono in condizioni di “normalità” si trovano catapultate in situazioni di disagio economico e sociale, il ceto medio si  avvicina sempre più alla soglia della povertà. Le donne in particolare pagano un prezzo troppo alto. Vi sono, inoltre,  bisogni che derivano dalla trasformazione del mercato del lavoro, del sistema produttivo e della struttura familiare, che fanno emergere l’esigenza  di nuove tutele e forme di conciliazione famiglia-lavoro.  Sicuramente non mancano alcuni strumenti, basti pensare ai permessi retribuiti o al congedo parentale o, ancora, al rimborso dei costi legati alla gestione dei figli. Ma gli interventi a volte sembrano diretti solo a medie o grandi realtà produttive.

E le microimprese? Le ditte individuali? Le piccole attività familiari?  Le piccole dimensioni rappresentano comunque la centralità del tessuto produttivo ma l’impressione è quella che le stesse usufruiscano di aiuti solo “una tantum”. Le dinamiche familiari non vanno sottovalutate, nella maggior parte dei casi ricadono soltanto sulle donne. Si fa fatica a cambiare l’approccio mentale, che identifica la famiglia come “presidio da accudire”. Mentre, a mio avviso,  il sostegno alle famiglie si attiva lavorando sulle relazioni, sul lavoro di comunità e sulla cittadinanza attiva, favorendo un approccio in cui le famiglie attivamente offrano soluzioni ai problemi legati al quotidiano.

L’imprenditoria femminile locale (che seguo da un po’ di tempo) mi ha portato ad una riflessione: la stessa necessita di integrare la dimensione sociale. Certamente non si immagina un’economia senza consumi,  ma si dovrebbe assumere la logica della produzione di valore come un meccanismo di crescita, dove i consumi diventano più la derivata che il motore propulsore della crescita.

Perché non realizzare sul territorio delle “zone franche” per le famiglie, luoghi per confrontarsi e identificare problemi. Perché non favorire sostegno maggiore alle donne anche scambiando semplici e concrete  informazioni? Perché non presentare insieme progetti e soprattutto proporre di farli  valutare alla cittadinanza, piuttosto che da un impersonale nucleo di valutazione del settore pubblico?

Riflessioni di Marina Gargiulo

 

Nessun commento:

Posta un commento